18 novembre 2005

Breve descrizione del gruppo di lavoro: un'ipotesi

LABNOVECENTO - immagini memorie narrazioni

È un gruppo di lavoro attivo dal gennaio 2003, interessato alla riflessione e al confronto sulla memoria e sulle sue possibilità espressive.

Assume come base metodologica l’elaborazione compiuta nel corso di questo secolo dagli studiosi di storia orale e da quelli delle immagini fisse e in movimento.

Riconosce la necessità, per la storia del novecento, di ripartire dalla pluralità dei soggetti che lo hanno attraversato e di raccoglierne la visione storica attraverso il loro peculiare linguaggio, intrinsecamente diverso da quello che il mondo accademico è in grado di produrre.

Concentra le sue ricerche sulle possibilità che l’audiovisivo offre come supporto per la raccolta di testimonianze orali e come linguaggio espressivo per le narrazioni di carattere storico.

07 novembre 2005

Considerazioni a favore dell'uso dell'audiovisivo

Ecco segnalatomi da Mauro il brano, tratto da "Memoria: una fonte per la mano sinistra. Letteratura ed esperienze di ricerca su fonti e archivi orali" di Roberta Garuccio, a proposito dell'uso del supporto audiovisivo nella raccolta di memorie:

"[...] una serie di considerazioni [sono] a favore dell’utilizzazione del supporto video oltre al più tradizionale supporto audio, considerazioni che tengono conto, tra l’altro, del processo di ‘sterilizzazione’ a cui è andata soggetta la videocamera, processo per cui essa oggi non intimidisce l’intervistato più di quanto non faccia il solo registratore audio. La ricchezza dell’immagine rende dell’intervistato alcuni elementi della distinzione (l’abitazione per esempio, l’ufficio, lo studio o il laboratorio); registra il caso in cui l’intervistato mostri oppure commenti qualcosa (fotografie, documenti, progetti, prototipi); o il ricorso alla gestualità delle mani, alla mimica facciale e in generale al linguaggio del corpo, sia quando il gesto accompagna la descrizione e la spiegazione, sia quando il gesto o l’espressione accompagna la parola, come accade nell’intenzione ironica, contraddicendone il senso letterale. L’immagine sottolinea inoltre il carattere retrospettivo del documento e le condizioni di produzione del documento stesso. Senza contare che l’immagine amplifica l’interesse per la testimonianza e moltiplica le chances per la fonte orale di essere valorizzata in futuro e quindi di prestarsi a scopi istituzionali o culturali (è stato calcolato che se l’attenzione media al solo suono della voce resta intatta per 7 minuti in media, all’accompagnarsi dell’immagine al suono si estende a 45)".

05 novembre 2005

Bermani: storia orale e audiovisivo


Di seguito l'avvertenza di Bermani sull'uso dell'audiovisivo in storia orale. Le conclusioni mi sembrano interessanti.
E' solo una citazione, il link rimanda all'intervento integrale:

"Un'avvertenza: in questi volumi non viene affrontato il problema della fissazione di narrazioni orali in audiovisivo, perché ciò significherebbe entrare in un campo che è solo apparentemente vicino a quello della storia orale ma ne è invece tuttora assai lontano.
La fissazione di narrazioni orali tramite il magnetofono oppure tramite il videotape o la cinepresa, lungi dal dare maggiore o minore comunicazione a seconda del mezzo utilizzato, produce comunicazioni intrinsecamente differenti.
Se è infatti vero che un racconto orale è pienamente comunicante solo dal vivo, quando sguardo, ammiccamenti, pause e silenzi sono aspetti integranti della comunicazione, quindi l'audiovisivo sembrerebbe una dimensione piu consona a riprodurre la comunicazione (che non è mai solo orale, ma anche gestuale e mimica), di fronte a strumenti tecnici diversi è ben raro che una medesima persona si comporti nel medesimo modo e racconti alla stessa maniera.
Ma poi il problema è soprattutto di metodo. Sull'inserimento della comunicazione orale all'interno della comunicazione visiva manca infatti a tutt'oggi quella riflessione specifica su strumento e fonti che ha invece caratterizzato la storia orale.
Sicché la storia in audiovisivo o in film resta a tutt'oggi prevalentemente improntata a una cattiva divulgazione, preoccupata più della "bellezza del montaggio" che di un uso corretto e non manipolatorio delle fonti. E se la storia che ci passa la televisione è per io più il regno prediletto non della riflessione storica ma della "persuasione occulta", mentre anche prodotti di qualità come Gli ultimi giorni, di James Moll, prodotto da Steven Spielberg, basato su cinque delle interviste della "Shoa Foundation" con i sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti, sottointendono per lo più delle storiografie quanto mai equivoche.
Ha notalo giustamente Alessandro Portelli che la scelta del regista de Gli ultimi giorni di evitare voci fuori campo "esibisce un'intenzione di oggettività antiautoritaria, ma sottintende anche un'idea di onnipotenza filmica: non commentiamo le immagini sia perché non imponiamo un'interpretazione, sia perché parlano da sé. Il problema però è che "fuori campo" c'è ben altro: macchine e persone, mezzi tecnici, mezza dozzina di troupe internazionali... L'assenza della voce fuori campo allora è più manipolatoria di una sua presenza, perché fa parlare le immagini ma non fa vedere in che modo sono state prodotte, per cui presenta un evento costruito come un evento spontaneo". Quindi proprio "l'osservatore - qui, la macchina da presa e l'apparato produttivo - è la condizione che permette di vedere l'evento osservato, o addirittura lo crea: così, la produzione che, certo facendogli un grande dono, riporta queste persone e i loro figli ad Auschwitz, per poter filmare [... ]. La storia orale, scritta o filmata, non consiste dunque nella semplice raccolta e riproposizione di testimonianze, ma in una complessa costruzione dialogica di narrazioni in cui l'intervistatore è altrettanto in gioco, altrettanto coinvolto dell'intervistato [...] Non si può fingere che un dialogo sia un monologo [...]. Infine: se uno scrive un libro, usando le fonti orali, le trascrive, le monta, le riporta - e poi le analizza, immette la propria voce in mezzo alle altre, apertamente, si prende la responsabilità e si mette in gioco cercando di dire che cosa pensa che significhino. In video, ancora non abbiamo trovato il modo di fare la stessa cosa senza ricorrere a mezzi inadeguati - le teste parlanti, la voce fuori campo. Il risultato è che, lungi dal parlare da sé, la testimonianza resta sola e criptica, senza il supporto dell'analisi".
Quindi a tutt'oggi storia orale e storia in audiovisivo o filmica, che sembrerebbero nate per completarsi a vicenda, restano tra loro profondamente diverse, anche se non si può escludere che un impegno metodologico congiunto di storici orali e registi possa in futuro modificare la situazione".

Portelli sulle fonti orali


Qui di seguito, liberamente schematizzati, alcuni aspetti metodologici sulla storia orale messi in luce da Sandro Portelli:

1 – Le fonti orali e fonti scritte: non si escludono a vicenda, ma hanno alcuni caratteri comuni e alcune funzioni specifiche che solo l’una o l’altra possono assolvere.

2 – Le fonti orali sono “orali”, dunque vanno comprese nella forma in cui sono date. La scrittura riduce il linguaggio in segmenti: lettere, sillabe, parole, frasi… L’oralità invece ne conserva i tratti sovrasegmentali: il volume, il tono, la velocità, le pause… e proprio in questi ultimi risiedono funzioni narrative che rivelano la partecipazione del narratore alla storia, l’affettività contenuta nel parlato.

3 – le fonti orali sono fonti narrative e per analizzarle non si può prescindere dalle categorie generali dell’analisi del racconto. Non esistono forme narrative orali specifiche per trasmettere informazioni storiche (almeno quando l’oralità coesiste con scrittura e scolarità), ma narrazione storica, leggendaria e poetica si intersecano, producendo spesso racconti in prima persona in cui invenzione e informazione si alternano.

4 – Le fonti orali oltre che (in certa misura) informarci dei fatti, ci informano specificamente sul loro significato. Sono fonti che, meglio di altre, rappresentano la soggettività del narratore e, estendendo la ricerca, di una classe sociale. Non dicono tanto cosa è accaduto, ma cosa i narratori credevano accadesse, avrebbero voluto accadesse, credono sia accaduto. Le fonti orali spiegano quella componente soggettiva della storia che è tanto importante quanto lo è quella materiale, dei fatti.

5 – Le fonti orali sono, in certo senso, sempre attendibili, perché aderiscono ad una attendibilità diversa. L’interesse per le fonti orali non concerne infatti solamente la loro aderenza ai fatti (nel qual caso la loro attendibilità è circoscritta a quelle che sono verificate da altre fonti), ma anche e soprattutto la loro divaricazione da essi: l’errore infatti può rivelare l’immaginario, il simbolico, il desiderio, oppure processi di rimozione collettiva o altro ancora. Lungi dal determinare un’esclusione della fonte, l’errore, opportunamente sottoposto a critica, può rivelare informazioni e “dimensioni” (psicologica, ad esempio) di grande interesse.

6 – Le fonti orali non sono “oggettive” (come tutte, del resto, nonostante la sacralità attribuita a quelle scritte). E non lo sono perché sono di parte (espressione di una parte), non contemporanee all’evento ma alla ricerca, costruite dall’intervistatore, sono in fondo il prodotto di un dialogo istauratosi tra intervistatore e intervistato, cosa che, in qualunque forma saranno divulgate, dovrà trasparire chiaramente.
E poi, non potendosi mai esaurire l’intera memoria storica di un intervistato, sono sempre parziali, una parte dei suoi ricordi. E non potendoci essere ricostruzione storica che non tenga conto delle fonti orali e del loro apporto, tale parzialità strutturale della fonte orale diventa la parzialità strutturale di qualsivoglia ricostruzione della storia.

26 ottobre 2005

idee chiave per labnovecento: alcune ipotesi


Un testimone dei bombardamenti del '44 su Cisterna di Latina racconta la sua esperienza per il documentario "Le grotte della memoria".



ELABORARE IL NOVECENTO
Un secolo plurale e contraddittorio. I lager e la conquista dei diritti civili, il progresso tecnico e scientifico e la distruzione atomica, le più grandi speranze e la cancellazione degli ideali. Un secolo rapido, che in cento anni ha creato salti in avanti, cesure, degenerazioni. Storie che non sono ancora storia. Che agli inizi del nuovo Millennio ancora vivono nelle esistenze di chi le ha attraversate. Un secolo che non si è concluso.

RAPPRESENTARE LA COMPLESSITA’
La complessità del Novecento è anche quella dei suoi infiniti linguaggi, espressioni, modi di raccontarlo. La complessità delle sue diverse culture. Comprenderla significa partire da queste, ripercorrerle nei loro specifici linguaggi (scritto, visivo, auditivo) e rappresentarle attraverso la pluralità espressiva che vi è inscritta.

AGIRE SUL PRESENTE
Riconoscere nel cammino del tempo i segni fondanti delle identità. Ritrovarli, riconnetterli ai soggetti cui appartengono. Ricostruire dall’interno le loro storie. Reperire e ritessere i fili lacerati di un tessuto identitario disperso.
Smontare il carattere accademico e monopolistico della ricerca storica per ricostruirla dal basso, immetterla nel quotidiano, in una pluralità di espressioni, rappresentazioni, storie.